giovedì 17 marzo 2011

17 Marzo 2011

Oggi su Facebook c’era ogni sorta di post sull’Unità d’Italia. O meglio: perdonate la pignoleria, il Regno d’Italia. L’unità si raggiunge con la Prima Guerra Mondiale, non certo nel 1861. Ecco perché tanti (tri)veneti, già incazzati per via della seconda alluvione in pochi mesi, non sentivano molto l’evenienza. E non solo loro.

Non sono patriota, non sono stata cresciuta nel concetto di patria che, più di libertà e ricerca della felicità, mi fa venire in mente filo spinato, trincee e annessioni non volute. Inoltre c’è ben poco di cui festeggiare, con la crisi che non se ne va, il lavoro che manca, la scuola che va a rotoli, la vita civile che si disfa nell’arroganza e nella maleducazione, ampiamente ispirata da una vita politica impresentabile da entrambi gli schieramenti. Essere orgogliosi? E di che?

Qualcuno ha detto che non c’è niente di cui essere orgogliosi perché essere italiani (così come, aggiungo, essere tedeschi, giapponesi o lituani) non è un merito di per sé. Vero.
Potrei dire che sono fiera del nostro passato culturale, ma questo vorrebbe dire che mi identifico in una bandiera, seppure ideale. Ma allora questa bandiera potrebbe includere tranquillamente i non italiani, perché la cultura non ha patria.

Potrei addirittura identificarmi (e lo faccio) con “caratteristiche nazionali” decisamente non italiane, ideali quali la precisione, l’affidabilità, il rispetto dei contratti, la trasparenza, la gentilezza, la capacità di stare in coda senza cercare di superare perfino in farmacia, il rispetto delle strisce pedonali, per dire qualcuna di quelle cose che qui contano davvero poco.

Potrei dire che l’italiano medio mi fa schifo: è razzista e arrogante, si compiace della propria furberia di basso rango, dell’idea che fregare il prossimo sia una virtù, del fatto che non sappia mai pronunciare adeguatamente le altre lingue (“tanto l’importante è farsi capire”). Accetta che i politici rubino perché tanto lo fa anche lui, ritiene la laurea un pezzo di carta da culo, getta i mozziconi per terra e anche addosso alla gente, ti stira sulle strisce e vuole avere ragione. E’ qualunquista e scazzato perché non s’interessa di niente e guarda con sospetto ogni entusiasmo come robetta da idealisti o sfigati. E’ uno che affossa la creatività e che davanti al talento fa di tutto per ostacolarlo.

Ma io non conosco solo quell’italiano medio, anzi quell’italietto odioso e ignorante di tutte le età e di ogni sesso, di ogni provenienza sociale e geografica, che meriterebbe soltanto una scarpata nel sedere e una manata sul coppino accompagnata dalla confisca immediata della libertà di parola, circolazione e pensiero.

Io conosco un sacco di gente PER BENE. Uh che espressione antiquata! Borghese! Ridicola!
Me ne frego e la adopero ugualmente.

Non c’è mica bisogno di essere dei santi, per essere per bene.
Essere per bene, per me, include una buona dose di “common sense”, di quella capacità di vedere le situazioni per quello che sono e di agire con buon senso, onestamente, nell’interesse proprio ma anche possibilmente altrui (nel lavoro specialmente: chi in un’azienda non funziona, la fa pagare anche agli altri. E i capi in questo sono i peggiori di tutti). Include una sorta di gentilezza informale, un’apertura tollerante e ironica. Include la capacità di muoversi nel mondo con rispetto. Di avere attenzione per l’interlocutore. Di coltivare la capacità di mettersi in dubbio. Di non arrendersi alla bruttezza che ci circonda e di trovare la bellezza in cose impensate e salvifiche, a portata di occhio. Di ammettere le proprie responsabilità. Di mettere in salvo un paio di principi sani e intoccabili e non pensare esclusivamente che l’unico scopo della vita sia lavorare, abbuffarsi, trombare, dormire e alzarsi di nuovo a rifare le stesse fottute cose.  Niente di troppo eroico, insomma, ma altamente desiderabile.  

Se esiste qualcosa come l’Italia, dev’essere fatta da quelle persone lì. E siccome mi è capitato di nascere qui, se devo pensare a qualcuno, penso a loro. Più che un festeggiamento, un augurio.

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