venerdì 17 dicembre 2010

O-oh: mi è semblato di sentire un gesso...

Oh-o: mi è semblato di sentile un gesso
Il doppiaggio di  True Blood
Nota introduttiva: questo brano, particolarmente acido, è opera della maestrina dalla Penna Rossa, che è simpatica come un limone verde.
Tradurre è sempre un po’ tradire, dicono. Quando poi ci si mettono anche le pronunce scorrette, il gesso corre sulla lavagna. Basta seguire una serie straniera in lingua originale per rendersi conto di questa ingombrante verità. Un esempio mirabile è offerto da una nota serie sui vampiri in onda su Hbo: True Blood. La versione originale non doppiata è un capolavoro linguistico denso di turpiloquio sincero e ruspante, talmente sopra le righe da sfondare (volutamente) nella parodia.
Il doppiaggio italiano, in questo caso, non solo appiattisce la recitazione fino a farla sembrare recitazione, per l’appunto, ma arriva a snaturare alcune parole ricorrenti attraverso pronunce sbagliate che rendono il tutto piuttosto ridicolo, mistificando il valore dell’intera serie. Un esempio? Il nome della protagonista, la cameriera Sookie Stackhouse, vivace fanciulla concupita da tutti gli esseri sovrannaturali nel territorio di ben due Stati, in grado di captare i pensieri della gente e perciò moralmente sospetta in un paesino dove peraltro nessuno riesce a farsi gli affari propri.
 Interpretata dall’ottima Anna Paquin, già premio Oscar per Lezioni di Piano (1994), Sookie – già gravata del suo handicap di telepate - soffre altresì di un cognome pericoloso: quel che in inglese suona, correttamente, “Stæckhouse”, con la “a” della prima sillaba pronunciata come una “e” aperta, nella versione italiana la stessa “a” diventa ostinatamente una “ei”: in sintesi, “Suki Steikaus”, cioè Sookie Griglieria. E la ragazza lavora in un pub.
Ma ci sono esiti anche peggiori, che toccano addirittura lo spiritus loci. Il ridente paesino della Lousiana sprofondato tra le paludi, ricorrente teatro di turpi delitti, ha, come da tradizione, un nome francese: Bon Temps. Che, con chiaro intento ironico, richiama presunti “bei/buoni tempi” (quali? L’epoca degli schiavi? Il tempo in cui uccidere un vampiro non costituiva reato?). Brava gente, quelli di Bon Temps: del partito “da noi certe cose non succedono”, e invece ne fanno peggio di Bertoldo. Nella versione originale la pronuncia è correttamente e gallicamente nasale: bon-tom, con l’accento su “tom”. In italiano è reso con un sonoro, offensivo bontemps. Dove tutte le consonanti sono pienamente pronunciate e le nasali non esistono. BONTEMPSS. Forse chi dirige i doppiaggi è intimamente convinto che noi italiani siamo così scemi da non riuscire a capire cosa si sta dicendo, quando siamo esposti a una pronuncia corretta. E non è finita. Per eccesso di zelo mal riposto, il semplice nome di uno dei protagonisti, il vampiro Bill Compton, diventa inspiegabilmente “Bill Caampton”. Ma perché? Chi l’ha detto? Campton un accidente.
Veniamo all’assegnazione dei doppiatori: qui la pecca non è del doppiatore, ovviamente, ma di chi distribuisce i ruoli. Ogni appassionato di serie tv conosce il dramma di vedersi sostituire il doppiatore abituale di un personaggio. Figuriamoci lo sgomento di chi, dopo aver apprezzato la recitazione originale, si ritrova non solo con una pronuncia discutibile, ma anche con una voce che non c’entra niente con quella dell’attore d’origine.
Ancora una volta la versione italiana di True Blood fa acqua da tutte le parti: Sookie, che sa essere una discreta tritaballe, ha una voce spaesata da Cappuccetto Rosso, con una perenne inflessione interrogativa da Orsolina insidiata. Lo scenografico Eric, interpretato da Alexander Skårsgard, ha un tono basso, insinuante e sexy. Nella versione italiana è stato assegnato a Gianluca Crisafi, che, nonostante l’indubbia professionalità, non ha niente a che spartire con Eric, rischiando anzi di far sembrare un ragazzino petulante e vagamente maniaco quello che è un super non-morto di mille anni suonati. Identico problema per il già citato Mr Bill “Caaampton”, doppiato da Fabio Boccanera (bravo anche lui, ma inadatto): la voce arrochita dell’antico gentiluomo del sud si trasforma in un prudente logos da ingegnere, snaturando l’accento di Bill, così particolare nella serie da essere oggetto di battute metanarrative all’interno della serie stessa (celebre la scena in cui Sookie gli fa il verso).
Bill condivide, tra l’altro, il doppiatore con il Sawyer di Lost, altro biondo da competizione, dalla voce profonda e la pronuncia strascicata, che in italiano, poverino, si trasforma una specie di adolescente con problemi nei confronti dell’autorità.
Una pronuncia corretta e una voce adatta non sono dei frivoli “plus”, ma componenti essenziali di uno show televisivo. Se la situazione dei doppiatori nel nostro Paese non è delle più felici – ed è un peccato – bisognerebbe almeno riconciliarsi all’idea che una pronuncia corretta esiste, e che non sarebbe male adattarsi.
Firmato: La maestrina dalla Penna Rossa

La versione italiana.

E la versione originale.

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